25 aprile 2014

"Estetica e sentimento: la perfezione nella cerimonia del tè", Il Venerdì, 25 aprile 2014

di Tiziana Lo Porto


All'inizio c'è una leggenda che racconta di come un giorno il monaco buddhista Bodhidharma stesse meditando davanti a un muro e per restare sveglio malgrado la sopraggiunta sonnolenza si strappò le sopracciglia e le gettò a terra. Le sopracciglia misero radici e si fecero pianta: la pianta del tè. La leggenda spiegherebbe perché il tè ci tiene svegli, ed è all'origine di molte altre storie legate alla suddetta pianta oggi raccolte in un coltissimo e ben documentato saggio dal titolo La cultura del Tè in Giappone e la ricerca della perfezione (Einaudi, pp. 300, euro 22). L'autore è Aldo Tollini, docente di lingua giapponese classica all'Università Ca' Foscari di Venezia e già autore dei volumi Antologia del Buddhismo giapponese e Lo Zeno Storia, scuole, testi.
Una sintesi di quello che c'è nel libro è in questa frase: «Per dire cos' è la Via del Tè, potremmo esprimerci dicendo che è un'azione che si svolge per mezzo del cuore e non delle mani e dei piedi».
Bere una tazza di tè è atto creativo e contenitore di sentimento ed estetica, laddove i due vanno di pari passo e «il cuore ricerca la forma esteriore corretta, e la forma esteriore corretta corregge il cuore» (frase pubblicitaria dei negozi di utensili buddhisti nel quartiere di Asakusa, Tokyo, citata da Tollini in esergo allibro). Bere una tazza di tè diventa così arte performativa che richiede wa e kei, dove wa è l'armonia e kei è il contrario del disprezzo, ovvero il rispetto dell'altro. E poi richiede sei ejaku: tranquillità e solitudine.
Armonia, rispetto, tranquillità e solitudine. A confermarlo sono i testi dei grandi maestri Zen, accuratamente ritrovati, riportati e ritradotti da Tollini.
Certe volte sono testi scritti, altre volte sono bellissime immagini riprodotte nell'apparato iconografico, che è parte integrante del libro. Si scopre così che il tè si diffuse in Giappone tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo, grazie a un monaco buddhista che lo scoprì nei tempii della Cina (coerentemente alla leggenda, veniva usato dai monaci per restare vigili durante la meditazione) e lo portò con sé in Giappone scrivendo nel 1211 un utile Trattato della preservazione della salute per mezzo della bevanda del tè.
Più o meno un secolo dopo arrivarono in Giappone le gare del tè, anche loro importante dalla Cina. Funzionavano così: assaggiavi diverse varietà di tè che poi venivano distribuite in sacchetti diversi. A quelle varietà venivano aggiunti altri tè in altri sacchetti identici ai primi e a cui venivano mescolati. Vinceva chi indovinava più tè degli altri, mentre intorno l'evento diventava festa con musiche e danze.
Il tè rinunciò così alla vigilanza sulla meditazione per accedere ad affollate riunioni mondane che si diceva spandessero uno sfolgorio non differente dalla «radiosità di mille Buddha».